Spotify e il Caso degli Artisti Fantasma

Ana Olgica e Karin Borg sono esempi di tali artisti che, nonostante i loro 40 milioni di ascolti su Spotify, non hanno presenza sui social media, non hanno pubblicato album e sembrano non esistere al di fuori della piattaforma.

Gabriel Parker

Ana Olgica

Karin Borg

L’accusa rivolta a Spotify è che questi “artisti falsi” permetterebbero alla compagnia di risparmiare sui costi delle royalties, pagando meno rispetto agli artisti delle major. Spotify distribuisce una percentuale degli introiti agli artisti in base agli ascolti dei loro brani, e l’accusa sostiene che la piattaforma potrebbe aver stretto accordi più vantaggiosi con questi “falsi” artisti.

Le loro tracce raccolgono oltre 40 milioni di ascolti sulla piattaforma di streaming, eppure non hanno mai pubblicato un album, non hanno un profilo sui social, non usano Facebook né Twitter, non postano foto su Instagram né interagiscono con gli utenti.

Una spiegazione ha provato a darla il magazine statunitense Music Business Worldwide. Questi, sostengono, sarebbero degli artisti «fantasma», ovvero pseudonimi di artisti reali che nascondo il proprio nome per permettere a Spotify di guadagnare di più.

Sembrano non esistere, un fatto curioso per un mercato musicale che sfrutta fino all’ultimo fenomeno per fare cassetta e non si lascia certo sfuggire chi viene ascoltato da milioni di persone nel mondo. 

Alessio LanaI «fantasmi» di Spotify, artisti da milioni di clic che forse non esistono, 23 agosto 2018.

Spotify e il Caso degli Artisti Fantasma: le Playlist

Le playlist sono al centro dell’attenzione, con tracce degli “artisti falsi” che compaiono in raccolte come:

  • “Peaceful Piano” o
  • “Sleepo Music For Concentration”

popolari per il loro utilizzo in attività come dormire, rilassarsi o concentrarsi. Si sottolinea che queste playlist contengono poche tracce delle major e molte degli “artisti fasulli”.

Spotify si difende.

Afferma che:

  • non ha mai creato “artisti falsi” per le sue playlist
  • paga le royalties dovute sia per le tracce presenti sulla piattaforma che per quelle nelle playlist
  • non possiede diritti né opera come un’etichetta discografica.

L’articolo menziona anche l’iniziativa di Universal, che, di fronte alla scarsa presenza delle sue tracce nelle playlist popolari di Spotify, ha collaborato con Apple Music per creare playlist “co-create”, con brani sia di musicisti di Universal che di altri curati da un compositore. Questo approccio mira a offrire una via di mezzo tra la produzione musicale tradizionale e i “musicisti tarocchi”, come dimostra la playlist “Peaceful Music” curata da Max Richter.

Spotify e il Caso degli Artisti Fantasma
Photo by Willian Justen de Vasconcellos on Unsplash

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